Qualche settimana fa riflettevo su quanto, negli ultimi tempi, esista una grande carenza di contenuti in campo cinematografico e letterario; una tendenza che continua a crescere. Non posso affermare di aver esaminato l’intera produzione mondiale, ovvio.
Ci sono le eccezioni – e confermo che esistono perché le trovo, per fortuna – ma penso di aver collezionato un discreto curriculum come lettrice e un buon bagaglio cinematografico, spaziando tra diversi generi d’intrattenimento. Al cinema le ultime uscite a grande budget riguardano soltanto supereroi, remake o ennesimi episodi di saghe. Una grande mancanza d’idee nuove, tra l’altro.
Amo molti di questi film dove, purtroppo, il contenuto è ormai lo stesso: cattivi contro buoni, senza mai un rischio di analisi ulteriore. Si riflette di più davanti a una produzione animata, un tempo considerata minore, che a quelle con attori in carne e ossa. Insomma, qualche anno fa perfino nell’intrattenimento commerciale si trovava contenuto narrativo senza bisogno di andarsi a cercare i film indipendenti del cinema scandinavo, sottotitolati.
Nel campo dei libri la situazione non migliora molto, narrativa letteraria o di genere che sia. Ho letto romanzi molto rinomati di autori in odore di Nobel o visto film candidati a prestigiosi premi e, dopo aver chiuso il libro o letto la parola fine sullo schermo, ho pensato: “E allora? Caro autore, cosa hai voluto trasmettere?”. Ho assistito spesso a un bellissimo esercizio di stile, letto una serie di vicende interessanti, magari anche imparato da te, scrittore super bravo, nuove tecniche e ardite sperimentazioni di scrittura, ma mi spiace: la tua storia non mi ha comunicato nulla.
Forse, per la mia formazione e per la mia età anagrafica, sbaglio io a cercare un messaggio o una riflessione che passi attraverso l’opera? Qualcosa che spieghi la sua creazione e il desiderio di raccontarla, e che non si limiti al solo intrattenimento? Non chiedo di pianificare a tavolino per veicolare contenuti, solo verificare se un messaggio implicito passa attraverso la narrazione e arriva a chi ne usufruisce, poiché quello che viene prodotto è indirizzato a un pubblico.
Oppure non c’è più voglia o desiderio per chi scrive, di raccontare quel qualcosa in più? E non che la narrativa di genere ne sia esentata con la scusa che è commerciale e che non le è richiesto: ricordo bene i densi spunti di riflessione contenuti nei libri fantasy di decenni fa o quanto la fantascienza facesse discutere sugli scenari futuristici.
Non sto parlando neanche di gusto personale, se un libro possa essere gradito o no, perché alcuni mi sono anche piaciuti. Mi riferisco proprio a ciò che la storia vuole trasmettere: che poi il messaggio possa soddisfare o no chi usufruisce del prodotto è un passo ancora successivo.
Il problema è che, troppo spesso, il contenuto è proprio assente, non pervenuto, vuoto.
Vogliamo poi parlare di alcuni grandi successi per adolescenti – e non solo – in cui, al contrario, il contenuto esiste ma veicola una prospettiva sbagliata? E non mi riferisco a una rigida morale, ma ai valori universali scritti nella Dichiarazione dei Diritti dell’ONU.
Mi chiedo se queste scelte siano frutto di una precisa valutazione delle case editrici e di produzione cinematografiche per accontentare un pubblico che chiede solo questo tipo di storie, fatte per non rimettere i propri investimenti e andare sul sicuro. Oppure, chi scrive riflette il tempo e il modo in cui vive, per cui se non ha una ricca formazione personale non riesce a portare contenuti nemmeno dentro le sue storie?
La mia è un’opinione, ovvio, del tutto contestabile. Non pretende di analizzare opera per opera, come non ho voluto, di proposito, inserire titoli o autori di riferimento, ma solo offrire uno spunto di riflessione.
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