Prima i generi non esistevano e maestri come Shakespeare e Dickens mescolavano tutti gli elementi per catturare il lettore. Poi, chissà perché, sono nate le etichette: crime stories, giallo, fantasy, realismo. E persino le sottobranche: iperrealismo, realismo sociale... Ma un vero scrittore usa tutto. Perché tutte le storie, anche le più reali, sono piene di fumo e di specchi, e c’è sempre qualcuno dentro che sta su quel palcoscenico che è la mente del lettore.
Carlos Ruiz Zafón
Condivido in pieno questo pensiero di Zafón, perché sono convinta che non ci debba essere nessun paletto per chi scrive storie. Come lettrice sono molto aperta e curiosa, anzi, amo essere stupita. Mi piacciono molto le mescolanze e, anche se a volte non riescono al meglio, premio comunque il coraggio e l’azzardo di averci provato. Leggo una storia per quella che è, senza arrabbiarmi se esce dai canoni del genere di appartenenza.
Come autrice, vivo queste classificazioni più come un problema, perché se voglio proporre un’opera al mondo esterno, arrivare a dei lettori, passare attraverso una pubblicazione, la prima cosa che devo specificare è la sua collocazione. Questo sia nella scheda di presentazione per un editor o una casa editrice, sia per le categorie degli store online, nel caso di un’autopubblicazione.
C’è questo commerciale bisogno d’incasellare tutto in una categoria, di appiccicare un’etichetta, di creare un recinto nel quale rinchiudere la fantasia.
E c’è pure la richiesta dei lettori di generi specifici, spesso rigidi come i paletti in cui devi incastrare il racconto; lettori che non amano sorprendersi, anzi, godono della sicurezza di ritrovare cliché conosciuti e confortanti, che hanno da ridire se proponi qualcosa fuori da questi schemi.
Ma chi ammirerebbe i quadri di un pittore che usa sempre i soliti tre colori per dipingere lo stesso soggetto ripetendolo all’infinito? Già aggiungendo un colore nuovo si può ottenere un risultato completamente diverso.
Ho provato a spiegare molte volte che, per chi scrive, è sempre faticoso definire in quale genere si posiziona la propria opera. Primo perché quando arrivano gli spunti, che si trasformano soltanto dopo in una forma narrativa strutturata, non viene molto da pensare in quale categoria potrebbero porsi. Certo, in linea di massima, una storia che parla di astronavi è fantascienza e una che parla di omicidi un thriller o un giallo, ma poi ci si impantana in diversi sottogeneri a seconda di come l’omicidio viene raccontato
Secondo perché, per quanto mi riguarda, il racconto non è mai troppo semplice o lineare mentre si sviluppa e prende la sua forma definitiva: iniziano a incastrarsi eventi e fattori a cui i confini di una categoria rimangono troppo stretti. A quel punto non è possibile alterare quello che hai pensato / scritto, poiché potrebbe essere proprio il fattore che distingue una storia da tutte le altre simili.
Quindi Shakespeare e Dickens, ai loro tempi, non avranno avuto problemi, ma sono certa, pur non conoscendo il mercato editoriale spagnolo, che anche Zafón abbia classificato a fatica i suoi libri. Che sono mainstream (ovvero narrativa generale) ma anche un po’ mistery e forse un po’ gialli...
Vedete! Non è per niente facile.
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