1Q84, ovvero narrativa straniera Vs italiana


1Q84 di Haruki Murakami è un libro bellissimo, come pochi che ho letto nella mia lunga carriera di lettrice. Punto.

Questa, però, non ne è la recensione. Penso possa essere amato e apprezzato anche da chi non ha una passione sviscerata per il Giappone, a differenza mia, perché oltre alla scrittura ineccepibile e personaggi dipinti con una perizia e meticolosità tutta nipponica, vi si trovano tematiche universali analizzate da un punto di vista molto orientale.

I temi narrati nel romanzo, anzi, nei romanzi, dato che si compone di tre volumi come da tradizione manga, sono prediletti dalla cultura giapponese, soprattutto quella giovanile, e si ritrovano spesso in molte altre forme artistiche del Sol Levante: manga, anime, visual novel. Il Destino, le scelte, i mondi alternativi, il male alla ricerca di un costante equilibrio con il bene e altrettanto necessario al mondo, mai condannato a differenza della nostra cultura di estrazione cattolica.

Molti sono poi i riferimenti letterari a 1984 di Orwell, a Matrix, alla Recherche di Proust. Il romanzo è completo sotto tutti gli aspetti e contemporaneo come più non si può. Non sto qui a raccontare la storia, la cui sinossi si può trovare abbondantemente in rete, quello su cui mi piace soffermarmi è ciò che mi ha trasmesso, oltre che come lettore, come autrice.

Ho immaginato Murakami alle prese con qualunque editor italiano, costretto a rinchiudere la stupenda storia che ha scritto in venti parole di descrizione, in un genere, in un ritmo e una struttura narrativa dettata ormai incondizionatamente dagli anglosassoni, con le sue 1157 pagine scritte che gli avrebbero – senza dubbio – costretto a tagliare; e benché mi lamenti spesso che ci sono troppe traduzioni dall’estero a cui non corrispondono mai altrettanti italiani che vengono fatti conoscere fuori dal nostro paese, sono stata contenta perché è stato un grande insegnamento.

Conoscere le regole e starci dentro ma, nello stesso tempo, riuscire a rompere gli schemi, lasciando fluire la propria scrittura, trovare una propria strada e una propria voce originale fregandosene di ciò che arriva dalla produzione dominante, rivalutare la narrativa pura e i tanti autori letti: sudamericani, russi, ebrei, orientali che con le loro tradizioni diverse di storyteller hanno sempre qualcosa di nuovo e di fresco da trasmettere.

Un autore come Murakami e il suo 1Q84, se fosse stato italiano, non avrebbe mai trovato spazio nel nostro mercato, per tutta la serie di problemi sopra citati – problemi solo agli occhi degli editor, intendiamoci – questa è la realtà sempre più spenta dell’editoria italiana che, per non fallire inesorabilmente, sforna soltanto ciò che le persone comprano (o almeno così si difende).

Allora parto dal basso chiedendo ai lettori di avere più voglia (di leggere) e più coraggio di scegliere libri sperimentali, strani, che non ripetano le solite clonazioni, perché la qualità è importante anche nelle letture cosiddette di genere e, magari, a non bollare la narrativa di qualità sempre come un enorme mattone da digerire. Potrebbero avere delle sorprese inaspettate, che poi è quello che, di fondo, i lettori cercano in ciò che leggono. Coraggio, buttatevi!

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